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Torna la GF da Torri a Torri

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Domenica 26 agosto si rinnova il classico appuntamento con la XXX edizione del raduno in MTB e la 16° Gran Fondo da TORRI a TORRI, che per alcuni anni ha visto scrivere il proprio nome nell’albo d’oro un atleta di spessore come Francesco Casagrande, capace di imporsi affrontando gli ultimi 700 metri del percorso con la bici a spalla a seguito della rottura della ruota posteriore. La gara di Torri che costituisce la 3° ed ultima prova del Campionato Cross Country 2018, si svolge nello scenario ricco di fascino dell’entroterra pistoiese, con partenza ed arrivo nel caratteristico borgo montano di Torri, viene corsa per la prima volta di domenica mattina. Il tracciato unico di 33,5 Km, per 800 metri di dislivello potrebbe essere definito delle “tre Limentre”, perché interessa le tre vallate del Comune di Sambuca pistoiese, in un alternarsi di bellissimi scorci panoramici. I bikers saranno da subito chiamati a confrontarsi con la salita, pedalando lungo la prima strada rotabile che nel 1959 arrivò a Torri.  Alla vista panoramica sulla valle della Limentra orientale, che consentirà di scorgere il paese dell’Acqua, succederà quella sulla valle della Limentrella, con i borghi di Castiglioni, Campaldaio, Docciola e Treppio e successivamente ci si addentrerà nella valle della Limentra di Sambuca. In coincidenza del 22° Km, faranno poi la loro comparsa i ruderi dell’antica abbazia di Badia a Taona. Il rientro a Torri avverrà su una antica stradina lastricata che conduce al traguardo nella piazzetta centrale. Nelle precedenti edizioni i concorrenti hanno potuto apprezzare la valenza tecnica di questo tracciato, oltre alle elevate condizioni di sicurezza e all’assistenza garantita dal comitato organizzatore e dal club “LEOPARD 4×4 fuoristrada Pistoia”. A conclusione di una stupenda mattinata di sport (la gara prevede il ritrovo alle 7,30 e partenza alle 9,45), ci si potrà fermare a pranzo (convenzionato) presso il Circolo Amici di Torri il pacco gara realizzato con la collaborazione di Caffè Poli. Ad attendere i bikers un ricco montepremi, secondo il regolamento CSAIN ciclismo, ed un servizio fotografico pronta consegna. Al vincitore andrà il 13° Trofeo MGM motori elettrici autofrenanti. Al termine della prova verranno premiati i vincitori del circuito Cross Country 2018. Imperdibile una visita gratuita al Museo della vita quotidiana che raccoglie attrezzi che documentano la dura vita dei “Torrigiani” in passato ed al piccolo borgo che si presenta molto bene all’occhio dei visitatori.

Informazioni sulla gara Paolo Gioffredi 3358017226. Vettori Bike 3311210714 andrevettori@tiscali.it www.torridisambucapistoiese.it , goriclad@gmail.com

Il ritrovo è fissato a TORRI dalle 7,30 alle 9,15 e la partenza alle ore 9,45. La quota di iscrizione 13 euro con preiscrizione e 15 il giorno della gara. Per i radunisti l’iscrizione è fissata in 10 euro. A tutti premio di partecipazione realizzato in collaborazione con Caffè Poli.

Pranzo convenzionato presso il circolo AMICI di TORRI tel 0573.898086 ad euro 10 ciascuno.

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Percorso nella valle della Limentra Orientale: Torraccia-Torri-Cave di Torri.

Il comune di Sambuca Pistoiese fa parte dell’Ecomuseo della montagna pistoiese con l’Itinerario della pietra. La escavazione di questo materiale, la sua lavorazione ed il suo utilizzo conservano nel nostro comune evidenti ed importanti testimonianze: negli edifici, siano essi ad uso rurale o artigianale (ovili, essiccatoi, carbonili, mulini, gualchiere, ferriere) o ad uso abitativo (architavi di finestre e porte e nelle pietre cantonali che riportano ornati, date e scritte incise o antiche maschere di pietra); ad uso religioso (chiese, oratori, cappelle, verginine); nella viabilità (strade selciate, muri, ponti); nelle antiche storiche strutture del Castello di Sambuca e della Badia a Taona; nelle cave da cui con duro e spossante lavoro la pietra veniva strappata alla montagna.

Si propone uno dei tre percorsi escursionistici che si snodano ciascuno in una delle tre principali valli della Sambuca e che ci permettono di scoprire alcune di queste emergenze legate alla pietra, oltre naturalmente gli aspetti ambientali, naturalistici, storici ed antropici del territorio attraversato: sono percorsi sui generis, che poco concedono all’aspetto sportivo, ma che si pongono l’obiettivo primario di conoscere le tracce di una civiltà montanara oggi scomparsa.

Percorso nella valle della Limentra Orientale: Torraccia-Torri-Cave di Torri.

Chi proviene dal fondovalle in auto incontra, un paio di chilometri prima di Torri, il borgo detto Torraccia, in cui è consigliata una breve sosta.
Il nucleo abitato è posto in un pianoro circondato un castagneto con alberi plurisecolari e coltivato ancora come quelli di una volta: un bell’esempio di come vorremmo che fossero tutti nostri castagneti! Interessante l’antico borgo, in cui sulle pareti delle case si affacciano numerose inquietanti maschere di pietra.

Un piccolo gioiello è l’Oratorio di San Martino recentemente restaurato.

Si prosegue per Torri (in auto o a piedi, a seconda del tempo che si ha a disposizione): il paese posto a oltre 900 metri di quota si connota per gli edifici in pietra addossati l’un l’altro, conserva la struttura medievale nelle strette stradine lastricate ed è dominato dall’alto da speroni rocciosi: su uno dei quali esposta la chiesa di Santa Maria Assunta.

Di particolare interesse alcune pietre lavorate su alcuni edifici con mammelle , che simboleggiano prosperità ed abbondanza, maschere in pietra, simbolici guardiani delle abitazioni, ed una mano, che si può interpretare come una firma dell’antico mastro muratore o come un simbolo scaramantico.

Proseguiamo in discesa verso uno dei rioni di Torri, il Casone. Assolutamente consigliabile è una abbondante bevuta alla antica Fonte del Casone: la sua ottima acqua è freschissima anche nelle giornate più torride. Nei pressi si imbocca una larga e pianeggiante mulattiera, delimitata nel primo tratto da siepi di Bosso.

Si attraversa dapprima una macchia e successivamente un impianto di conifere, detto i Fornelli.

Dal buio delle conifere dopo poco ci si affaccia nella piena luce di una verde valle. Siamo su un balcone naturale, che invita alla sosta e che ci offre un ampio panorama sul monte Calvi (o Calvario), il monte Femmina, la Strada tagliafuoco, la profonda valle del rio Rio delle Lastre.

Al di là della Limentra il monte Bucciana, il poggio Cicialbo e La Rasa. Stranamente da quel punto nessun paese o centro abitato, seppur piccolo, è visibile.

Il sentiero ci porta ora a destra in leggera discesa:
attraversa un rado bosco misto in cui prevalgono le querce (Roverelle) con cespugli di Rosa selvatica e Ginepro.

Ricordo di Torri

di Natale Rauty

Il mio primo ricordo di Torri risale al lontano periodo dell’infanzia, intorno agli anni Trenta del secolo scorso. A quel tempo passavo buona parte dei mesi estivi nella zona di Valdibure, in una casa della nonna, la cui strada privata di accesso era da tutti usata come scorciatoia della via comunale. Quasi tutti i sabati, nel primo pomeriggio, ero solito aspettare il passaggio di una piccola carovana di due o tre uomini ed altrettanti muli, che dopo la ripida salita facevano una breve sosta sull’aia.

Erano uomini di Torri, che avevano portato i loro prodotti al mercato cittadino ed ora risalivano il monte lungo la via di crinale, per raggiungere, forse a notte fonda, il loro paese. Nella mia fantasia di ragazzo quella piccola carovana sembrava appartenere al mondo dell’avventura, e la lontana Torri, per la quale si parlava di sei-sette ore di cammino, aveva il fascino di un mondo inesplorato, una sorta di mitico Far West, che mi sarebbe piaciuto raggiungere seguendo la carovana.
Ho conosciuto il paese di Torri tanti anni più tardi, quando cominciai ad interessarmi al territorio delle vallate della Limentra. A questo proposito voglio ricordare che proprio il castello della Sambuca fu l’argomento del mio primo lavoro storiografico. Nel 1964, quasi quaranta anni fa, quando ancora impegnato a pieno nell’attività professionale ero agli esordi del mio interesse per le ricerche storiche, pubblicai il mio primo articolo, dal titolo La rocca della Sambuca, che non ebbi l’ardire di proporre al prestigioso «Bullettino Storico Pistoiese», ma che fu accolto, con mia soddisfazione, dal periodico della Camera di Commercio.Un più intenso rapporto con la storia di questo territorio ebbe inizio parecchi anni dopo, al tempo del sindaco Ziani, quando fu impostato per l’anno 1991 il programma celebrativo del settimo centenario dello statuto del Comune della Sambuca, al quale dettero il loro contributo la Società pistoiese di storia patria ed il Gruppo di studi Alta Valle del Reno. In quello stesso periodo, su invito di Paolo Gioffredi, infaticabile organizzatore delle attività ricreative per il mese di agosto a Torri, fui invitato a partecipare all’inaugurazione del sentiero naturalistico La Ca’-Pozze di Brigida. Fu così che nell’agosto 1991 arrivai per la prima volta a Torri, naturalmente in automobile e non, come avevo sognato da ragazzo, attraverso i lunghi sentieri dell’Appennino, dietro le carovane dei muli. Nel 1992, fui invitato nuovamente a partecipare ad una giornata culturale, con una relazione sulla più antica storia del paese.
Nella ricerca del materiale per la mia relazione ebbi un’ulteriore conferma che il territorio pistoiese è privilegiato da una documentazione archivistica talmente ricca, da consentire di ricostruire, fin dalle età più antiche, le linee storiche essenziali anche per centri abitati minori ed isolati. Mi fu così possibile ricordare la più antica testimonianza documentaria di Torri, offerta da una pergamena del 982, un atto di donazione del conte Lotario dei Cadolingi alla cattedrale di Pistoia. Delle quattro terre donate dal conte, una si trovava in loco Turri ed era coltivata dal ‘massaro Asprando’, il più antico abitante di questo paese del quale fosse rimasta memoria. Mi resi conto che questa notizia era stata accolta con molto interesse dal pubblico, e non mi meravigliai, qualche anno più tardi, quando gli abitanti di Torri vollero istallare al centro del paese una lapide in memoria del loro antico progenitore. Curioso destino quello del massaro Asprando, che, mentre dissodava con fatica quotidiana queste terre avare, mai avrebbe pensato che di lui sarebbe rimasta memoria a più di mille anni di distanza.
Su una concreta base documentaria mi fu possibile ritrovare le tracce di Torri fin dall’alto Medioevo, quando su queste pendici montane le consorterie longobarde si erano stanziate in armi contro la linea fortificata bizantina; ed in seguito quando i signori di Stagno, anch’essi di origine longobarda, avevano dominato in queste vallate innalzando i loro castelli a Treppio ed a Torri. Una traccia di questa antica origine offre lo stesso massaro Asprando documentato nel 982, che portava, a distanza di più di due secoli dalla fine del regno dei Longobardi, il nome che era stato di un re di quella gente. Ma non mancano tracce di questo tipo molto più recenti: basti pensare che lo stesso nostro amico Paolo Gioffredi porta l’esito di un nome tipicamente germanico, Gottfried (in italiano Goffredo), composto secondo l’usanza onomastica longobarda, da due distinti vocaboli: Gott (Dio) e -Frieden (pace).
La mia relazione, che aveva come termine cronologico il periodo comunale, si concludeva con il ricordo dell’accordo del 1319, stipulato tra il Comune di Pistoia ed i conti Alberti, a seguito del quale il Comune cittadino aveva preso possesso del castello di Torri con un manipolo di balestrieri ed aveva insediato il nuovo podestà, con giurisdizione su Torri, Treppio e Fossato. Anche questa notizia sollecitò la fantasia dei Torrigiani, tanto che pochi anni dopo vollero realizzare una rievocazione storica in costume di questo episodio della loro storia, che da allora viene ripetuta ogni anno nel mese di agosto.

Un impegno assai più assiduo ebbi con Torri nei tre anni nei quali diressi il programma per il Dizionario toponomastico della Sambuca. Anche in questa occasione l’elemento di raccordo fu come sempre Paolo Gioffredi, al quale avevo delegato la ricerca per la vasta regione compresa tra la Limentra orientale e la Limentrella. Il frequente controllo e ordinamento delle numerose schede, nonché il confronto del materiale raccolto sul campo con quello offerto dalle fonti documentarie, mi permise di approfondire la conoscenza di questo territorio antico. Da allora divenne una tradizione il consueto incontro culturale a Torri, tenuto nel mese di agosto per un intero decennio, dal 1992 ad oggi; appuntamento al quale non sono più riuscito a sottrarmi per le cortesi insistenze di Paolo Gioffredi,
Anche se qualche volta ho faticato a trovare l’argomento della relazione, devo dire che ho sempre apprezzato l’interesse che gli abitanti di questo piccolo paese hanno dimostrato per la loro storia, anche di quella più antica e dimenticata. Ne costituiscono testimonianza il numeroso pubblico presente agli incontri culturali, il dibattito che spesso si apriva sul tema delle relazioni, le iniziative pubbliche per la lapide commemorativa di Asprando e per la rievocazione dell’insediamento del podestà.
Del resto il paese di Torri non è nuovo a lodevoli iniziative per il recupero delle antiche memorie, soprattutto per l’intensa ed apprezzata attività che l’Associazione per lo sviluppo turistico di Torri ha svolto negli anni passati, con l’organizzazione di incontri culturali e con l’impianto di una ben fornita biblioteca. All’attività dell’Associazione paesana si è aggiunta poi l’iniziativa di privati che hanno saputo organizzare con pochi mezzi e pochi aiuti, ma con tanta buona volontà e tanta passione, un piccolo museo degno di ogni lode.

Quando a Torri c’erano gli spacci

di Paolo Gioffredi

Nella nostra epoca in cui le vendite avvengono in supermercati, ipermercati, o in centri commerciali aventi le dimensioni di una piccola città, per i nostri orecchi la parola ‘spaccio’ appare un termine un po’ desueto: affidiamoci quindi allo ‘Zingarelli’. «Spaccio: Negozio per la vendita al minuto spec. di generi alimentari».

Dopo la premessa diciamo che in passato gli spacci ebbero particolare importanza nei centri della Limentra Orientale, a causa soprattutto dell’isolamento di questi ultimi, che portava ad una forzata dipendenza dagli esercizi locali negli acquisti e negli approvvigionamenti effettuati dalla popolazione. Torri, ad esempio è stata raggiunta da una strada rotabile solo nel 1959: strada che proveniva dalla Badia a Taona e compiva un tortuoso ed accidentato percorso fra le montagne. La strada oggi comunemente usata, proveniente da Lèntula, è stata aperta solo nel 1966.
La memoria popolare ricorda che a L’Acqua di Cantagallo (borgata detta anche Il Turchi) c’era un’osteria gestita da un tale dal nome altisonante di Napoleone, mentre sulla sponda sinistra della Limentra orientale, in Comune di Sambuca Pistoiese, c’era il negozio di alimentari e vini di Dante Battistini.
A Lèntula i negozi di alimentari erano due: quello di Rino Battistini e quello di Silvio Simoni. Gli eredi di quest’ultimo proseguono tuttora l’attività di ristorazione con la trattoria Rossella.
A Torri, negli anni Venti c’erano ben sei spacci, i cui proprietari erano: Tobia Bruni, Berto Biolchi, Francesco Matteoni (dei Mercanti, così chiamato per il commercio di stoffe che aveva con la Maremma), Diletto Palmieri, Igigno Matteoni e Decimo Turchi.
La prima rivendita di sali e tabacchi fu alla Ciliegia, villaggio a valle di Torri, dove si vendeva di tutto, dagli alimentari alle candele, dal vino ai cocomeri durante l’estate.
Dopo gli anni Venti questi esercizi cominciarono a diminuire e negli anni Quaranta dopo la chiusura di Igigno Matteoni, che distribuiva i prodotti con tessera annonaria, aprì un negozio di alimentari Alessandro Bertinelli, conosciuto in paese con il nome di Giulio.
Tale negozio, in precedenza spaccio cooperativo, si trasformò in esercizio alimentare a conduzione privata, in cui trovarono lavoro i famigliari del titolare: la moglie Maria si occupava principalmente dell’impasto e della cottura del pane, i figli collaboravano al rifornimento del negozio e, con un cavallo, portavano la merce alle famiglie del paese e delle borgate vicine. Il cavallo veniva messo anche a disposizione della comunità, per il trasporto del medico condotto o della levatrice ad esempio. Alessandro Bertinelli oltre a questa attività, militava anche in politica al Comune di Sambuca e si è molto impegnato per l’apertura della strada per Torri. Nel 1960 a seguito dello spopolamento del paese, si trasferì a Pistoia con la famiglia dove continuò la sua attività con un negozio di generi alimentari.

Alla fine degli anni Sessanta a Torri cessò l’attività anche il negozio di alimentari di Anchise Matteoni (erede di Francesco Matteoni de’ Mercanti); l’attività dell’esercizio era seguita prevalentemente da Dina, la moglie di Anchise, mentre quest’ultimo faceva l’autista di camion, trasportando legna bianca di castagno, dalla quale veniva estratto il tannino, e le lastre di pietra che, estratte nelle cave di Torri, venivano collocate a Pistoia ove erano utilizzate per lastricare i vialetti dei giardini. Dopo la chiusura di tali due esercizi aprì un nuovo negozio di alimentari Silvana Turchi, la figlia di Decimo, che già dagli anni Trenta vendeva solo verdure e stoviglie.
Questo esercizio nella piazzetta del paese è rimasto aperto fino al 1998. Negli anni Settanta e per una quindicina di anni si assiste all’apertura di un piccolo bar gestito da Carubo Biolchi e da sua moglie.
Un bar molto particolare dove il caffè veniva fatto con la caffettiera che si usa nelle famiglie.
Nel 2004 ha chiuso i battenti anche il ristorante con alimentari gestito da Laura Gioffredi.
L’anno successivo, l’Associazione per lo sviluppo turistico di Torri, per poter garantire ai residenti ed ai villeggianti un punto di ritrovo, ha ristrutturato i propri locali che ora sono molto confortevoli e si è affiliata all’ARCI per poter svolgere le attività di bar pizzeria.

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grammofono

Quando i comodi arrivarono a Torri

di Paolo Gioffredi

Per secoli la vita di Torri, come quella di tanti paesi della montagna, si è svolta sostanzialmente immutata, cadenzata dal duro lavoro nei campi e nei boschi, dalle migrazioni stagionali, e, sempre, segnata dai sacrifici, dalle privazioni, dalla precarietà del presente e dall’incertezza del futuro.
A partire dai primi decenni del Novecento con l’arrivo di alcune comodità qualcosa è cambiato sulle nostre montagne.
Si propone di seguito un elenco in cui è scandito questo inarrestabile ‘progresso’, che tuttavia, ne siamo consapevoli, ha avuto un suo prezzo.

grammofono

Grammofono – 1919

Il primo fu acquistato da Francesco Matteoni; era un modello della Voce del Padrone, a cassetta e con grande tromba. Il fatto destò scalpore e gli anziani dicevano: ‘Cecco della Stella ha una cassetta con dentro un uomo che parla e canta. Che meraviglia!’.

Acqua corrente in casa – 1926

Per la prima volta fu utilizzata da Aronne Gioffredi in località La Fontanina, a poche decine di metri dal deposito; alle fonti comunali della Piazza, del Pero e di Casa Antonio arrivò tre anni dopo.

Apparecchio radio – 1930

Il primo fu acquistato dal parroco Don Leone Butelli.

Cucina economica – 1932

Comparve per la prima volta nella casa di Annetta Matteoni (dei Mercanti).

Illuminazione elettrica – 1934

In tale anno comparve in 24 abitazioni: molte famiglie furono invece costrette a rinunciare ad essa, risultando le spese per l’allacciamento troppo gravose. In località Torraccia essa fu disponibile solo a partire dal 1965.

Telefono – 1934

In tale data un telefono pubblico fu installato nella “Rivendita di sali e tabacchi” di Diletto Palmieri.

Patente di guida

Il primo a conseguirla fu Anchise Matteoni dei Mercanti.

Motocicletta – 1945

Fece la sua comparsa guidata da Bruno Matteoni, reduce dall’ultima guerra.
Egli giunse a Torri percorrendo sentieri e mulattiere, perché ancora non c’era la strada rotabile.

Fornello a gas, per uso domestico – 1950

Fu utilizzato la prima volta da Fortunato Palmieri.

Macchina da scrivere – 1950

Fortunato Palmieri utilizzò la prima macchina da scrivere da tavolo;
don Matteo Turchi, nello stesso anno, disponeva di un modello portatile.

Televisione – 1955

Il primo apparecchio fu quello di Gino Matteoni, della località La Caà.

Stanza da bagno – 1956

A Torri comparve, per la prima volta, nella abitazione di Guerrino Battistini.

Frigorifero – 1958

Il primo fu quello di Elda Palmieri.

Motosega – 1958

La prima motosega “leggera” che fece la sua apparizione nei nostri boschi fu quella di Iginio Gioffredi dell’Acqua.
Era un modello Dolmar CP e pesava 17 chilogrammi.

Prima automobile – 1959

Fu la FIAT Seicento di Adriana Gioffredi che giunse fino alla Lastruccia, e l’anno successivo nella piazzetta del paese.

Strada tagliafuoco – 1960

Congiungeva Torri alla Badia a Taona ed al Passo della Collina.
Fu il primo collegamento utilizzabile da automezzi per raggiungere Pistoia.

Strada per Lentula- 1965

In tale anno fu aperta al traffico la strada carrozzabile di collegamento con la “provinciale” di fondovalle.

Lavatrice -1969

Margherita Turchi fu così, la prima che rinunciò a lavare i panni nel pubblico lavatoio.

Si va a “ricogliere”!

di FRANCO MATTEONI

Il castagneto del Volotto dista dal paese un quarto d’ora a piedi, percorrendo la mulattiera che da Torri conduce a L’Acqua.

Oggi si deve andare a ricogliere perché le castagne sono cascate quasi tutte sulle roste, già belle pulite come il pavimento di casa. Appena tornato da scuola, ho lanciato la cartella in un angolo del pavimento della cucina, (ho mangiato la refezione preparata dalla Leonetta in classe, nel tegamino di smalto rosso col manico), mi sono levato il grembiule nero e il fiocco azzurro – tutto sgualcito – e sono partito con le mie sorelle, allegro per la novità, con il rastrellino di legno sulla spalla e la sacchetta col cavicchio infilata nella cintura dei pantaloni.

È una bella giornata di fine di ottobre, c’è un bel sole, l’aria, già frizzante, stimola la voglia di correre e saltare. Da pochi giorni ho messo i pantaloni lunghi di lana e sento le gambe belle calde e protette, anche se, rispetto ai calzoni corti, un po’ legano nei movimenti. Le mie sorelle hanno ognuna un rastrello grande, la sacchetta e golfini e gonne di lana. La mamma è già andata nel castagneto per rifinire le roste e bruciare le foglie secche e i cardi. Bisogna sbrigarsi perché il babbo sale da L’Acqua coi muli per caricare le balle piene di castagne e portarle al nostro seccatoio prima che faccia buio. Passando dal Volotto salutiamo Lessio, vestito con giacca e pantaloni di velluto e un cappello nero a falde. Gli chiedo dove sono la Nerina e la Bianchina, lui mi risponde che sono nella stalla a mangiare il fieno; vorrei andare a vedere le due pecore ma non c’è tempo, dobbiamo sbrigarci. Continuiamo a scendere per la mulattiera, passando sotto alla casa e al seccatoio del Volotto.

Guardando sotto strada, vediamo la mamma intenta a rastrellare le foglie e buttarle su un monticello fumante: gli urlo che stiamo arrivando e lei ci saluta sorridendo. Addosso al tronco di un castagno ci sono alcune balle già piene di castagne: ci metto le dita dentro e ne sollevo una brancata: sono belle lucide, alcune scure e piccole, altre grandi e marrone chiaro, altre ancora di un colore rossiccio. Comincio da una rosta dove ci sono tante castagne, mi piego in avanti e le raccolgo con due mani e le butto nella sacchetta che pian piano si gonfia e penzola sempre più pesante tra le gambe; quando è colma fino all’orlo vado svelto verso il castagno dove ci sono le balle e svuoto la sacchetta, poi, correndo, torno alla mia rosta e continuo a raccattarne. Ci sono anche dei cardi semiaperti da cui si affacciano -o si nascondono- le castagne che non sono uscite cadendo: infilo un dito nella fessura ma mi buco e lo tiro via, poi ci riprovo aprendo il cardo col bordo della scarpa. Sento dei tonfi fitti qua e là, tutto intorno: sono i cardi che cascano e li vedo rimbalzare sulla terra mentre le castagne escono. Ora ci sono tanti cardi semiaperti, li batto col dorso del rastrellino per farli aprire del tutto, poi raccolgo le castagne e riempio un’altra sacchetta che corro a vuotare nella balla: voglio battere le mie sorelle. Però è faticoso e ho le dita rosse dalle punture dei cardi e quasi quasi mi fermo a riposare. Al viaggio successivo mi metto a sedere con la schiena contro una balla, la sacchetta ancora piena tra le gambe, appoggiata sul muschio. Ho fame, chiamo le mie sorelle: la merenda è lì, nel tascapane, sopra la balla. Prendo due fette di pane con la frittata di patate dentro e me le mangio con gusto mentre guardo per aria quegli alberi alti, con i rami quasi spogli che si protendono verso il cielo azzurro.

Mi piace il castagneto, in questo periodo è vivo, si sente la gente chiacchierare, qualcuno chiama, una voce di donna stridula prende in giro un uomo provato dalla fatica; qualcuno passa piegato in due dalla pesante balla che porta sulla schiena. Penso che siamo fortunati ad avere i muli che ci portano i sacchi in paese.

Arriva il babbo! Fiorello, il cavallone nero con la stella bianca in fronte, guida la fila dei muli e si ferma vicino ai sacchi. Corro dal babbo che mi chiede quante castagne ho raccolto e io gli faccio vedere la mia balla quasi piena, è contento di vedermi. Tira il cavallo per la cavezza e lo fa avvicinare, poi apre gli ancini incrociati sul basto, la mamma arriva e lo aiuta: mentre lui si piega in avanti e mette la testa e le spalle, quasi fino a toccare terra, contro una balla piena, lei la solleva dall’altro lato finché il babbo ha il sacco sulle spalle. Si dirige verso il basto, scarica la balla di traverso sugli ancini: il basto si abbassa verso terra, il cavallo però se lo aspetta e punta le zampe per non ribaltare. Poi, messa un’altra balla dall’altro lato, il babbo lega con le corde i sacchi al basto. Intanto Gino ha caricato un mulo e il babbo va ad aiutarlo a caricare il secondo mulo. Io osservo le bestie mansuete che aspettano tranquille sgranando le castagne tra i denti gialli e potenti. Vorrei salire sul cavallo, ma è troppo alto per me e mi fa un po’ paura. Per oggi la ricoglitura è finita, prima di buio bisogna arrivare in paese per scaricare i sacchi e riempire il seccatoio. Sono sfinito, sulla salita prima dei Prà inciampo e quasi cado, la mamma e il babbo ridono, le sorelle mi prendono in giro. Intanto i muli salgono sulla ripida salita, ondeggiando i basti e a strattoni; mandano avanti la testa e il collo, come volessero prendere delle brevi rincorse. Fiorello è in testa e procede da solo senza bisogno di essere guidato, conosce la strada a memoria, il babbo sta dietro, ogni tanto affianca un mulo per tirare un canapo o aggiustare un ancino. Finalmente arriviamo in paese, il babbo e Gino scaricano il cavallo e i muli e portano le balle sull’aietta, vicino all’ingresso del seccatoio. Dal buco di una pietra della parete, vicino alla gronda del tetto, esce del fumo grigio: è un sasso scalpellinato a formare un sole, il buco tondo al centro, con dei raggi intorno. Ma il fumo esce anche dalle lastre del tetto e dalla finestra che guarda la piazza, al cui davanzale è appoggiata una scala a pioli in legno. Vedo uno che sale sulla scala portando sulla spalla un corbello colmo di castagne, che regge con un braccio, mentre con l’altro si regge; delle braccia spuntano all’improvviso dalla finestra e prendono il corbello che riappare poco dopo vuoto, l’uomo scende e se ne carica sulla spalla un altro: è un via vai continuo di corbelli pieni e vuoti.

Intanto il cavallo e i muli sono stati scaricati, rifatti i canapi e aggiustati i basti, Fiorello si volta: va verso il lavatoio del Pero, i muli dietro, come carri di un treno: vanno a bere alla pilla, la loro giornata di lavoro, per oggi è finita. Per gli uomini no, continuano a scaricare corbelli nel seccatoio. Scendo a vedere chi c’è dentro: non si vede niente, solo una cappa di fumo che ristagna all’altezza dell’architrave della porta e il bagliore di un fuoco dove bruciano lentamente dei grossi ciocchi di legna di castagno. Entro e sento delle voci, vedo il viso della nonna Annetta illuminato dai deboli bagliori del fuoco, è seduta su una seggiola bassa e sta filando la lana con la rocca, mi chiama e mi dice di entrare. C’è un bel calduccio dentro, però gli occhi mi bruciano, mi lacrimano, devo abbassarmi per non respirare il fumo, mi accosto con la schiena alla parete e vedo altre donne che sferruzzano e chiacchierano. Mi siedo sulla panca e mi scaldo le mani e i piedi.

Sopra le nostre teste si sente un rumore sordo, come uno sfregamento, un rotolìo di castagne. La nonna mi chiede quante ne ho fatte; tante, rispondo. Ora il caniccio sarà quasi pieno. Attizza il fuoco, mi dice la nonna, butta su quell’altro ciocco ché, se si spenge il fuoco, addio bene mio! Esco perché gli occhi mi bruciano troppo: fuori è quasi buio, corro verso la piazza per vedere se c’è qualche ragazzo, ma non c’è nessuno. Fiorello sta tornando dall’abbeverata e, seguito dai muli, scende la breve stradina che porta alla stalla, dove Gino e il babbo stanno aspettando. Gino fa entrare il cavallo nella stalla, gli slaccia il sottopancia e la cinghia davanti; per togliere quella di dietro, a forma di cappio, prende la coda e la tira in alto per liberare la cinghia, poi solleva il basto inarcando la schiena e buttando il corpo all’indietro, si gira e lo posa su un tavolaccio; Fiorello sta fermo, ogni tanto ha come un fremito e nitrisce piano, e batte gli zoccoli sul pavimento, quasi a dire a Gino: sbrigati che voglio andare alla greppia. Intanto il babbo è salito in capanna, lo raggiungo e vedo che prende una forcata abbondante del fieno dal monte – arriva fino al tetto della capanna – e la butta giù nella greppia; poi prende un secchio e comincia a tirare su l’acqua col palmo della mano e con gesti rapidi la butta sul fieno nella greppia, tenendo il secchio tra le gambe lo innaffia in modo uniforme, andando avanti e indietro sul pavimento di tavole: sai mi dice, il fieno umido lo mangiano meglio le bestie. All’improvviso le gambe mi fanno “Diego Diego”. Babbo, sono stanco vado a casa. Ora vengo anch’io, dice.

Mentre trascino le gambe sulla salitina, dalla stalla a casa, penso a come fanno il babbo, quegli uomini e quelle donne, a resistere tutti i giorni a fare dei lavori così faticosi.

Cascina di Spedaletto-Torri-Tabernacolo di Gavigno a piedi o in mountainbike

Cascina di Spedaletto è un nucleo di antichi edifici tradizionalmente usati per finalità agricolo-pastorali: attualmente ospita un Agriturismo ed un posto tappa GEA (Grande Escursione Appenninica).
È posta sul crinale spartiacque appenninico in una pittoresca posizione al centro di una radura circondata da faggi secolari, in provincia di Pistoia ma a poche centinaia di metri dal confine sambucano. Da qui inizia il lungo itinerario proposto che passando per Ponte a Rigoli, Badia a Taona conduce a Torri, incrociando in questa località l’altro itinerario detto “Traversata delle tre Limentre”.
Muovendo dalla Cascina (881m) ci si dirige in direzione Nord, seguendo per circa 800 metri la strada provinciale fino a giungere a Ponte de’ Rigoli (825 m), confine Sud del Comune di Sambuca con Pistoia.
Superato il ponte, giriamo a sinistra (sentiero CAI 9/A) ed imbocchiamo una strada forestale che attraversa luoghi di interesse storico-naturalistico. Si tratta della strada del D’Ancona (così chiamata dal nome del suo costruttore , il fiorentino Giuseppe D’Ancona). Sulla nostra sinistra dopo poche centinaia di metri, un pianoro con alcune pietre sparse, interpretato come il luogo di un insediamento medievale che da recenti studi sembra essere Glozano.
Proseguendo in lieve salita si supera Ponte di Legno (914 m) fino a giungere a Bal di Carnevale (1043 m) dove ad attenderci c’è un’edicola con lapide dedicatoria in cui si legge:VEGLIA O VIANDANTE SUL LUOGO OVE SORSE IL MONASTERO DI SAN SALVATORE DI FONTANA TAONA RISPETTANE LE GLORIOSE VESTIGIA E MEDITA NELL’ALTO SILENZIO SOTTO QUESTI ALBERI ANTICHI LA GRANDEZZA DI DIO. Siamo ormai a pochi metri dalla Badia a Taona: si gira quindi a destra e dopo pochi metri un cartello turistico indica Badia a Taona (1091 m) ed una piccola strada chiusa da una sbarra conduce ai ruderi dell’antico Monastero, che meritano una visita, anche se della originaria struttura rimangono soltanto pietre sparse o riutilizzate per costruzioni successive.
Siamo a 12 Km da Torri. Da questo punto in avanti il nostro itinerario prosegue per la strada sterrata detta ‘tagliafuoco’, la prima strada rotabile che ha raggiunto Torri nel 1959.
Si aggira il Monte La Croce (1318 m), si raggiungono le pendici dell’Orto di Corso (1228 m), dove si dirama un sentiero che segue lo spartiacque fra la Limentrella e la Limentra di Sambuca. Noi seguiamo la strada principale aggirando un ripetitore delle telecomunicazioni alto ben 80 metri: a margine della strada una sorgente dalla quale sgorga acqua freschissima. Nella zona Sambuchella (1172 m), poco a monte della strada e in corrispondenza dell’inserimento del sentiero CAI “E” il Sasso alla Pasqua, con incisioni rupestri .
Proseguendo sempre per la “strada tagliafuoco” si scende verso Pian del Moro (1170 m), una sella dopo la quale la strada riprende a salire: si passa presso una tipica casetta detta De’ Mengarini fino a giugere al Poggio Felicione (1231 m) .
Aggirato Monte Femmina (1091 m) si entra in una zona di crinale denominata Pozze di Brigida (1086 m): di fronte un’ ampia veduta sulla valle della Limentra Orientale, sulle cime del monte Calvi, del poggio Cicialbo, del monte Bucciana.
In breve si raggiunge il Rifugio La Ca’ di Torri (892 m ) gestito dal CAI di Prato, dove ci si può fermare e, previa prenotazione, anche pernottare.
Siamo in vista del paese di Torri. Dal rifugio, si può scegliere se proseguire per la strada rotabile, oppure prendere il sentiero CAI 11A che scende al paese (912 m) in pochi minuti.
Quindi dopo una attenta visita al paese di Torri, dove funziona un esercizio di bar, alimentari, trattoria, si inizia a scendere, o per il sentiero CAI 11 A, molto bello e più breve, oppure per la strada rotabile. Dopo pochi minuti s’incontra la borgata di Casa Antonio (850 m) e percorrendo un breve tratto di strada asfaltata, dopo aver incontrato due tabernacoli, si può scegliere per raggiungere La Ciliegia (810 m) il sentiero oppure la strada.
Raggiunta La Ciliegia, si consiglia di proseguire per la strada sterrata , anche se un po’ più lunga per raggiungere Il Mosca (607 m) e subito dopo Molino di Fossato ( 534 m) in Comune di Cantagallo dove sono ancora attivi due mulini ad acqua per la molitura delle castagne.
Di qui si sale a Fossato (707 m), interessante paese adagiato su un crinale (esercizi di bar, alimentari, ristorante): il percorso continua per strada sterrata (informarsi in loco) o per strada asfaltata fino a raggiungere il crinale al Tabernacolo di Gavigno (968 m). Qui ci si inserisce nel percorso GEA, che avevamo abbandonato alla Cascina di Spedaletto.
Questo itinerario, con alcune varianti, per le sue caratteristiche del fondo stradale, si presta molto bene anche per gli amanti della mountain bike . Il percorso che consigliamo è il seguente: Cascina di Spedaletto, Acquerino, a sinistra in direzione Passo della Collina per ricongiungersi, a Bal Di Carnevale, all’itinerario sopra descritto e proseguire quindi fino a Tabernacolo di Gavigno. La lunghezza di questo tracciato si aggira intorno ai 35 Km.

Buoni camminatori possono percorrere il tracciato in una sola giornata: ma è più indicato percorrere il tracciato a tappe, programmando ad esempio una sosta per la notte al Rifugio La Ca.

Una sera di ottobre

di Franco Matteoni

E’ troppo bello per andare a letto subito.Apro la finestra e la persiana: la notte mi viene incontro amica, e mi affascina.Solo una falce di luna,( gobba a ponente: luna crescente), illumina la natura che riposa; i suoi raggi mi arrivano come rapidi dardi proiettati dalle superfici delle foglie, vibranti sotto la leggera, tiepida brezza notturna.
E irrompe la magìa del silenzio, interrotto solo dai suoni, dai versi della natura: il fruscìo delle foglie, l’urto, (ma come, così forte?), di una foglia secca che cade sulle lastre di pietra; rumore di foglie rotte dal calpestìo di un animale notturno; battito d’ali; il canto di una civetta: ora conto, se canta tre volte porta male: succederà qualcosa di brutto.Sorrido di questa credenza che ho sentito asserita come una verità paurosa fin da bambino.

Come può essere che in questa notte così dolce un piccolo uccello dalle morbide piume e dai grandi occhi possa preannunciare il male? La civetta canta, canta senza fermarsi tre, quattro, cinque volte, ho perso il conto; stanotte il suo è un canto allegro: annuncia che la vita è in corso, anche nel buio.All’improvviso un ruggito di leone riempie lo spazio e lo satura, ogni altro rumore svanisce. Poi un altro diverso, proveniente da un altro punto.Dove sono? Sono forse in Africa?Sono, finalmente, riuscito a raggiungere la mitica Abissinia protagonista dei racconti serali del babbo?
No, sono a pochi chilometri da Pistoia, sono nella casa in cui sono nato; sono appoggiato con i gomiti sul davanzale di pietra scalpellinata della finestra della mia camera.Sono i bramìti dei maschi dei cervi in amore: sono grida d’amore di queste creature che hanno occupato l’ambiente che gli uomini hanno abbandonato perché non hanno più saputo amarlo.Ora sono loro che proclamano alla luna, all’aria agli animali notturni, al bosco, che stanotte è una notte d’amore.

Le case, chiuse, dalle finestre sbarrate da mani frettolose, respingono questi appelli amorosi; il paese è deserto; è iniziato un nuovo, lungo e freddo letargo edilizio; solo tra molti mesi la gente, per un breve periodo, si riapproprierà del giorno e della notte, ma sarà come l’emozione fugace di un’illusione amorosa: la gente non ama più le proprie case, il proprio paese, i propri campi, i boschi, gli animali, la luna e le stelle.Stanotte io, solo, privilegiato, ho aperto la mia finestra e la mia camera, come una cassa acustica vivente, riceve e rimanda lieta i suoni che la natura diffonde senza posa, fiduciosa che qualcuno, prima o poi, li accolga nel suo cuore.