Storia di Torri

Torri, un paese dimenticato
di Alberto Pucci

Torri, una storia millenaria e gloriosa che l’indifferenza della gente sembra aver cancellato per sempre, così come il muschio nasconde poco alla volta le tracce degli uomini sugli antichi muri.

Un documento del 982 d.C. afferma che in loco Turri viera un podere lavorato da un certo massaro Asprando, un personaggio di discendenza longobarda. In origine, infatti, Torri faceva parte dello schieramento longobardo che arrivava al castello di Stagno e si contrapponeva al fronte bizantino attestato lungo le valli del Sambro e del Reno.

Nell’XI secolo Torri (castrum de Turri) era sottoposto ai signori di Stagno, i quali controllavano il territorio della Limentra orientale. Il castello rivestiva quindi un ruolo essenziale di difesa per queste vallate.

Dopo il declino delle signorie feudali, Torri e gli altri paesi limitrofi si organizzarono in comuni rurali facenti parte del distretto di Pistoia. La vicinanza di Torri con la via Francesca (una variante della via Francigena) e i rapporti con il monastero di San Salvatore di Fontana Taona determinarono un ulteriore sviluppo del paese sia dal punto di vista economico che sociale.

Nel 1244, come attesta il Liber focorum (un elenco di contribuenti per fini fiscali), a Torri e Monticelli (l’attuale Torraccia) vi erano circa 245 persone.

Per tutta la durata del XIII secolo, tuttavia, benché dipendenti dal Comune di Pistoia, Torri, Monticelli, Treppio e Fossato risentirono dell’influenza dei conti Alberti che avevano acquisito dal papa gli antichi privilegi feudali e intendevano esercitare i loro diritti. Soltanto nel 1319 il comune pistoiese riuscì a riscattare questo territorio mediante il pagamento di ben trecento fiorini d’oro. Era il 22 settembre di quell’anno, uno dei più gloriosi della storia del paese. È facile immaginare l’evento come descritto nel Liber censuum.

Accompagnati dal suono dei tamburi e delle chiarine fecero il loro ingresso nel castello ser Francesco e gli anziani inviati dal comune insieme al nuovo podestà Bartolomeo de’ Tebertelli e al suo segretario Mone Bindi. Della delegazione pistoiese faceva parte anche il famoso poeta Cino de’ Sinibuldi, ossia Cino da Pistoia, il poeta amico di Dante. Suggestiva ed emozionante doveva essere stata la cerimonia della consegna delle chiavi del castello. La moltitudine dei colori dei vestiti si mescolava a quella delle bandiere e delle insegne nobiliari, mentre il nitrito dei cavalli e le dichiarazioni di giuramento erano attutiti dagli applausi dei presenti e dai comandi urlati dal capitano del contingente militare di scorta. E infine la festa e il lauto banchetto…

La seconda metà del Trecento non fu altrettanto felice. La crisi economica dovuta ad una forte pressione sociale, le pesti e le carestie che si succedettero senza sosta, il banditismo e i conflitti sociali determinarono un progressivo declino economico e sociale.

Nel 1351 Giovanni Visconti di Oleggio, governatore di Bologna e figlio naturale dell’arcivescovo milanese, occupò Torri e altre località della montagna e solo l’intervento decisivo del Comune di Firenze ripristinò lo stato precedente (pace di Sarzana del 31 marzo 1353). In quegli anni l’inarrestabile crollo demografico determinò l’abbandono definitivo di diversi villaggi (fra cui Monticelli).

In questo periodo Pistoia dipendeva sempre di più da Firenze finché, nel gennaio del 1402, i fiorentini la sottomisero anche formalmente. Essi riorganizzarono il contado in quattro podesterie, oltre al Capitanato della Montagna, e Torri entrò a far parte della podesteria del Montale.

Nel frattempo si era fatta sempre più drammatica la lotta fra la famiglia dei Panciatichi e quella dei Cancellieri. Ricciardo Cancellieri, a seguito di una congiura non riuscita contro Giovanni Panciatichi, nell’agosto del 1401 si era rifugiato nel castello di Sambuca e da lì aveva cominciato a saccheggiare le località appartenenti all’altra fazione. Le comunità della montagna pistoiese, infatti, parteggiavano per l’una o per l’altra famiglia.

Il castello di Torri, che si era schierato con il Comune di Pistoia, e quindi dalla parte dei Panciatichi, dovette anch’esso subire la furia di Ricciardo. Ser Luca Dominici, nelle sue Cronache, scrisse che nel luglio del 1402 i soldati dei Cancellieri giunsero a Torri dichiarando di essere un contingente militare inviato dal comune di Pistoia per rafforzare le difese. Lo stratagemma funzionò e fu aperta la porta di accesso. Così il castello fu saccheggiato e incendiato e gli uomini che si trovavano al di fuori nel momento dell’incursione non vi fecero più ritorno e si trasferirono altrove.

Per vari anni il luogo rimase abbandonato. Il catasto fiorentino del 1427 attestò che Torri era ormai privo di abitanti e questa situazione si protrasse per tutta la prima metà del XV secolo.

Il comune di Firenze, alla fine, riconoscendo l’importanza strategica di Torri per il controllo dei valichi dell’Appennino posti al confine con l’area bolognese, fece pressione con le autorità pistoiesi affinché provvedessero a ripopolare il paese.

Fu così che nel 1458, come narra il Salvi nelle sue Historie,Niccolò di Giffredi del Secchio, originario della zona del Frignano, mediante l’assicurazione di Pistoia di un forte sconto dalle tasse, si spostò con tutta la sua famiglia e i parenti per andare ad abitare a Torri, riportandolo di fatto ad una nuova vita.

Questo espediente ebbe successo e il patto fu mantenuto nel tempo. Dalle Memorie storiche del Fioravanti apprendiamo che nel 1628 il trattato fra gli abitanti di Torri e il comune di Pistoia era ancora valido, ma fu comunque aggiornato: al posto della vitella che costituiva fino ad allora il pagamento, le autorità ricevettero, a partire da quella data, un contributo di 100 lire.

Sotto il dominio granducale il paese ritrovò l’antico benessere. Il superamento delle lotte fra le fazioni, l’abbattimento delle barriere doganali (dovuto al fatto che ormai tutte le città della Toscana facevano parte dello stato fiorentino), il potenziamento della rete viaria determinarono lo sviluppo del commercio e, di conseguenza, l’incremento dell’allevamento e dell’agricoltura. Nella zona di Torri e in altri centri della montagna furono perfino impiantate fabbriche industriali dedite alla lavorazione del ferro.

La momentanea crisi dovuta all’esercito di papa Urbano VIII Barberini che, nel 1643, passò dal territorio della montagna pistoiese, nelle vicinanze di Pavana, Treppio, Torri e della pieve di Valdibure per raggiungere Pistoia, poi risolta dalla resistenza opposta dalla città, non determinò un impoverimento del paese.

Dai due catasti del 1655 e del 1730 si evince, anzi, che Torri era ancora un centro attivo, dedito ai consueti lavori. Oltre all’allevamento di pecore, la maggiore risorsa, come sempre, derivava dalla raccolta delle castagne. Con l’essiccazione di questo frutto veniva ottenuta quella farina dolce che è rimasta fondamentale per l’alimentazione locale fino alla metà del Novecento.

Dopo la proclamazione di Pietro Leopoldo I (1775-1799) granduca di Toscana, si ebbero dei significativi mutamenti sia dal punto di vista amministrativo che religioso. Nel 1775 Torri entrò a far parte della Comunità di Montale, mentre nel 1784 la chiesa di Santa Maria Assunta passò dalla diocesi di Bologna, della quale fino a quell’anno aveva fatto parte, a quella di Pistoia. Era il tempo del vescovo giansenista Scipione de’ Ricci e le polemiche fra ricciani e antiricciani si fecero sentire anche a Torri. Uno dei protagonisti di questi scontri fu il parroco di allora, don Petronio Pupilli. Tra l’altro, durante il suo sacerdozio, fu iniziata la totale riedificazione della chiesa.

Una brusca frenata alle attività produttive non solo di Torri, ma anche di tutta la Toscana, si ebbe invece con l’occupazione francese. Il trattato del 1807, che assegnava questa regione all’impero, segnò l’inizio di un periodo di generale decadenza. Le forti contribuzioni imposte alle comunità, le espropriazioni per l’approvvigionamento delle truppe, l’introduzione della leva obbligatoria che allontanava molti giovani dalle famiglie determinarono un diffuso malcontento e, nello stesso tempo, una profonda crisi delle attività agricole e commerciali. Non a caso, dai documenti conservati nell’Archivio Diocesano di Pistoia possiamo dedurre che, a partire dall’ultimo decennio del Settecento, iniziò la consuetudine dei torrigiani di andare a lavorare nelle Maremme toscane e romane.

Con la Restaurazione fu ripristinato l’ordinamento delle podesterie e, nel 1814, il paese di Torri fu incorporato nella comunità della Sambuca.

Con il passare del tempo il fenomeno dell’emigrazione divenne sempre più consistente. Le mete più frequenti furono la Corsica e la Sardegna, ove erano richiesti carbonai, tagliaboschi e braccianti. Le partenze si concentravano soprattutto nei mesi di novembre e di dicembre, ossia dopo la raccolta delle castagne, e i mesi di lavoro duravano fino a maggio o a giugno.

L’abitato di Torri, ancora isolato dalle grandi vie di comunicazione, partecipò marginalmente al mutamento storico del Risorgimento e dell’unità d’Italia. Le lettere della curia vescovile e gli editti del comune di Sambuca rimangono gli unici documenti indicativi di una comunità che accolse il cambiamento delle istituzioni senza eccessivi clamori. La preferenza per il tranquillo scorrere del tempo e la fatica del lavoro quotidiano rimasero per molti anni i caratteri distintivi di una società che aveva fatto della sopravvivenza lo scopo principale della propria vita.

Dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla prima guerra mondiale il paese evidenziò una ripresa delle attività economiche e, di conseguenza, una costante crescita della popolazione. Si passò dai 550 abitanti del 1855 ai 759 del 1879 fino ai 1020 del 1912.

Alle due guerre mondiali, come testimoniano i monumenti ai caduti posti sulla facciata della canonica e nella piazza del paese, Torri dette il suo contributo di morti. Fra i nomi dei militari che combatterono e morirono per la patria sono riconoscibili quelli delle famiglie più note del paese: Antonini, Biolchi, Bruni, Gioffredi (probabilmente discendenti da quel Giffredi del Secchio che aveva anticamente ripopolato il paese), Matteoni, Turchi, Tamburini. Mancano soltanto i Bertinelli e i Battistini, ma gli appartenenti a queste famiglie ebbero la fortuna di ritornare a casa indenni.

Negli anni Trenta del Novecento Torri raggiunse il suo massimo storico con ben 1060 residenti. Nel paese vi erano botteghe di ogni genere e la scuola elementare accoglieva un consistente numero di studenti. Come nei tempi antichi l’economia era ancora basata sull’allevamento e sull’agricoltura, sulle risorse del bosco, sulla raccolta delle castagne. Si potevano vedere, allora, campi coltivati estesi sui monti circostanti senza soluzione di continuità e la vegetazione non era, come ora, a ridosso delle case, ma lasciava spazio agli orti, ai campi di segale e di miglio, cereali anch’essi essenziali per il sostentamento. Ciascuno provvedeva a mantenere efficiente la sua proprietà con la pulizia dei sentieri, i muri a secco, i canali di scorrimento per l’acqua.

Certamente tutto ciò non era sufficiente per una vita agiata e senza pensieri. Per questo molti uomini del paese, negli anni Cinquanta, inventarono un nuovo lavoro per incrementare i guadagni. Le periferie delle grandi città, caratterizzate dalle imponenti costruzioni di edifici popolari con riscaldamenti centralizzati, richiedevano sempre di più una manodopera efficiente che riempisse costantemente le caldaie con il carbone e le tenesse pulite. Fu così che molti torrigiani partirono da Torri per andare a lavorare come fuochisti. Costoro lasciavano a metà settembre le famiglie per trasferirsi a Milano e rimanevano lì fino a primavera. Il lavoro era duro. Dalle cinque di mattina fino a tarda notte dovevano impalare quintali di carbone, mentre l’alloggio consisteva in uno sgabuzzino privo di finestre posto nelle vicinanze. D’altra parte, mentre le persone rimaste in paese dovevano vivere con non più di 15.000 lire al mese, i fuochisti riuscirono a raggiungere anche 42-45.000 lire. Una bella somma che attirò molte persone.

Altri, invece, preferirono l’espatrio. L’emigrazione stagionale verso la Corsica, la Francia, il Belgio continuò incessantemente e ci fu addirittura chi si stabilì negli Stati Uniti ottenendo la cittadinanza. Ma il pensiero per Torri non venne comunque meno. Le poesie degli emigranti dedicate al paese testimoniano ancora il vivo ricordo per la terra nativa.

Una di queste, particolarmente suggestiva, fu scritta tanti anni fa da Ugolino Gioffredi, emigrato in Australia, ritornato momentaneamente dopo tanti anni a rivedere il suo paese:

Inno a Torri

Salve o Torri, vivissimo giardino,
nido sublime in mezzo ai monti lieti,
salve, o sorriso eterno d’Appennino,
fonte di gioia, che ogni cuor disseti.

Chi da lontano venne a te vicino
schiusi trovò d’ardore i tuoi segreti,
a l’onesto passante tu sorridi
terra d’incanto che tristezza uccidi.

Come il soave amor nasce tra i nidi
cosparsi sui tuoi colli in primavera,
sono gioiosi i suoni, i canti, i gridi,
perdenti nel tramonto di ogni sera,
come son belli i tuoi montani lidi,
vivono all’ombra della tua criniera,
mille fanciulle mille tenerezze,
mille sogni d’amore e mille ebbrezze.

Sguardi sfreccianti, tremiti e carezze,
sorrisi, abbracci, baci, fiori e canti,
tramonti! Aurore! Fonti chiare e brezze,
spere di sole, fronti verdeggianti,
desiato respir, molli dolcezze
d’augelli il cinguettio, greggi belanti,
questo sublime amor di folle gioia
tu lo sprigioni, o Torri di Pistoia!

E finché non avrò le cuoia secche
che da te mi divida non c’è nulla,
del tuo sorriso mai vivrò di noia,
come se tu fossi mia materna culla!

Che uccida questo amor, no, non c’è boia,
t’amerò come un sogno di fanciulla,
col nostalgico ardor t’amerò sempre,
finché fisico mio porterà tempre.

Con il boom economico continuò il lento ma costante abbandono del territorio verso quelle città che potevano offrire ai giovani posti di lavoro nelle industrie e nel settore terziario e guadagni più redditizi.

Chi rimase a vivere nel paese poté contare, tuttavia, su altre opportunità di profitto.
Fra il 1946 e il 1960 l’apertura dei cantieri all’Acquerino e alla Lastruccia, nei pressi di Torri, impegnarono molti torrigiani nel compito faticoso di interrare le piantine dei vivai. Le soste durante la giornata erano minime e anche il pranzo era consumato sul posto. Oggi tutte quelle foreste di abeti intorno all’abitato fanno quasi paura per la loro altezza. Questo intervento è stato molto criticato, perché gli alberi si riproducono sempre più vicino alle case impedendo ai raggi del sole di riscaldare le pareti durante l’inverno e mettendo in pericolo le stesse abitazioni per una eventuale loro caduta.

L’apertura nel 1959 della strada tagliafuoco costruita a forza di pala e piccone che collegava Torri alla Badia a Taona, la costruzione nel 1965 della strada di accesso al paese, la Lentula-Torri e, l’anno dopo, il collegamento della stessa località con il Ponte di Fossato ampliarono le possibilità di comunicazione e di commercio. Per ironia della sorte, proprio quando il paese finalmente si apriva in tutte le direzioni verso il mondo esterno, Torri non riuscì a impedire ai propri abitanti di cercare lavoro altrove.

L’allontanamento dal paese, infatti, proseguì inesorabilmente. Per avere un’idea di questo fenomeno si possono consultare i registri degli stati d’anime (oggi conservati nell’Archivio Diocesano di Pistoia) che i parroci compilavano, famiglia per famiglia e di anno in anno, oppure Il monitore diocesano e l’Annuario della diocesi di Pistoia che riportavano il numero preciso delle persone di ogni parrocchia. Nel 1943 gli abitanti di Torri erano 850, nel 1951 514, nel 1961 261, nel 1968 135, nel 1976 115, nel 1981 93, nel 1994 65 e oggi non superano le venti unità.

Nel 1971 fu istituita una Pro-Loco, detta prima Comitato e poi Associazione per lo sviluppo turistico di Torri, affinché il paese non fosse abbandonato. Essa si è prodigata a programmare eventi estivi in modo da attirare nuove genti almeno durante la bella stagione. Agli episodi puramente ricreativi si sono alternati incontri culturali di notevole interesse con la partecipazione di studiosi illustri, soprattutto esperti di storia. Ma l’attività non si è limitata soltanto a questo. L’Associazione si è fatta promotrice di occasionali opere di restauro che hanno valorizzato il patrimonio culturale di Torri. E, ancora, come non ricordare la nascita, per merito di Renzo Innocenti, di una collezione di manufatti e attrezzi antichi messa a disposizione del pubblico? È questo un vero e proprio piccolo museo, testimonianza di una cultura contadina che non deve andare perduta.

In questi ultimi anni l’esaurirsi del volontariato ha portato alla decisione di affidare la gestione del bar-ristorante ad altre persone. Attualmente la direzione del circolo è in mano di una famiglia del paese. È una soluzione giusta e opportuna che si spera duri a lungo nel tempo.

Ma la storia di Torri non si rileva solo dai documenti storici. Sui muri delle case, sugli architravi delle porte e ovunque meno te lo aspetti, corrosi dal tempo, emergono come d’incanto i segni tangibili di coloro di cui si è perso il ricordo, ma che ci hanno lasciato un segno della loro testimonianza. Come cicatrici incise sulle antiche pietre resistono motivi figurativi arcani, sculture misteriose, iscrizioni oggi non sempre decifrabili ma allora perfettamente comprensibili. Solo negli ultimi tempi è stato effettuato un tentativo di interpretazione di questi simboli, alcuni dei quali ampiamente diffusi sulla montagna tosco-emiliana e non solo, altri costituenti invece un unicum nel panorama dell’area appenninica. Certamente la vicinanza al paese delle cave di pietra e l’intensa attività degli scalpellini locali ha giocato un ruolo fondamentale nel diffondersi di queste opere, alcune delle quali interessanti dal punto di vista artistico.

Passeggiando per le strade del paese possiamo notare le date incise sui muri e sugli architravi delle porte. Alcune di esse sono molto antiche, anche se sono state riutilizzate per le edificazioni successive, così come molti altri simboli scolpiti. Vi sono poi le iscrizioni, spesso sintetiche, a volte dei veri e propri acronimi, con evidenziato il nome dell’autore e lo scopo della dichiarazione. Molto comuni sono le croci e il cosiddetto fiore della vita, una rosa a sei petali che, per la particolare disposizione della corolla, ricorda il simbolo del Chi-Rho, ossia il monogramma di Cristo. Altro motivo conosciuto è il Cristogramma IHS.

Fra le immagini più suggestive vi sono quelle delle teste apotropaiche che sporgono dai muri e dai conci angolari delle case. Esse avevano la funzione di proteggere la famiglia dagli spiriti maligni. Generalmente in altorilievo, vantano numerosi tentativi moderni di imitazione. Questi ultimi, non rappresentando più l’intento degli antichi autori, sono diventati dei semplici, anche se eleganti, motivi decorativi.

Altre raffigurazioni, più propriamente laiche, sono la ruota a otto raggi, i seni femminili, veri e propri richiami alla fertilità, i simboli dei muratori: setaccio, squadra, martello, mazzuolo, scalpello, chiodo. Assimilabile come significato a questi ultimi è una mano scolpita in bassorilievo, probabilmente rappresentante la manus fabri, ossia quella di colui che ha costruito la casa.

Molto diffusi sono i tabernacoli con le immagini in ceramica della Madonna con il Bambino. All’interno di uno di questi, eccezionalmente, si possono vedere la croce e i simboli in legno dipinto della passione di Cristo. Le immagini di Maria addolorata o della Beata Vergine di San Luca si ritrovano anche nelle nicchie ricavate nei muri delle case. Queste opere anticamente facevano parte di un percorso di preghiere (le così dette rogazioni). Quando il sacerdote passava durante la processione raccoglieva le offerte (di genere alimentare) poste dai fedeli accanto ad esse.

Quasi tutte le antiche tradizioni, compresa la festa per la protettrice di Torri, S. Margherita di Antiochia, sono state abbandonate. L’unica rimasta è la processione per Santa Maria Assunta. Il 15 agosto le campane suonano fin dal mattino e i loro doppi rievocano giorni di duro lavoro e fanno riflettere sulla vita che trascorre inesorabilmente.

Oggi le persone, probabilmente non riconoscendone il significato, non hanno più quel rispetto per i segni tangibili del passato. Date capovolte e parti di architravi spezzati inseriti a caso nei paramenti murari confermano una diffusa noncuranza per una cultura ormai passata.

Al primo freddo vento d’autunno Torri è un paese dimenticato. Ma forse, nonostante tutto, non lo è. I torrigiani sanno che possono lasciare le loro case per tanto tempo o, addirittura, non vederle più, ma qualcosa resterà in loro, qualcosa che li legherà per sempre, perché le radici di una vita non potranno mai essere trasferite in un altro luogo. E così, anche se col passare degli anni tutto non sarà come prima e il sole continuerà a sorgere e tramontare su un territorio che mille e più anni di storia hanno modificato, niente riuscirà a sopprimerne l’appassionato ricordo di un amore passato.

Per saperne di più:

Torri. Storia, Tradizioni, Cultura, Atti degli incontri culturali dal 1996 al 2002, a cura di P. Gioffredi, Associazione per lo sviluppo turistico di Torri – Società pistoiese di storia patria, Rastignano (BO), 2003.

A. Pucci, Torri e Monticelli nel Medioevo, Pistoia, Settegiorni editore, 2016.

A. Pucci, Torri e la sua chiesa. Uno sguardo d’insieme, Pistoia, Gruppo di studi alta valle del Reno – Parrocchia di Torri, 2019.

Figura 1 Torri in una stampa settecentesca (partic.)

Torri in una stampa settecentesca (partic.)
Torri in una stampa settecentesca (partic.)

Figura 2 Torri in una cartolina dei primi anni del Novecento

Torri in una cartolina dei primi anni del Novecento
Torri in una cartolina dei primi anni del Novecento

Figura 3 Il centro di Torri (Anni Cinquanta)

Il centro di Torri (Anni Cinquanta)

Figura 4 I dintorni di Torri (Anni Cinquanta)

Il centro di Torri (Anni Cinquanta)
Il centro di Torri (Anni Cinquanta)

Figura 5 Pecore condotte al pascolo da Leonetta Fiorini (1955)

Pecore condotte al pascolo da Leonetta Fiorini (1955)
Pecore condotte al pascolo da Leonetta Fiorini (1955)

Figura 6 Silvana Turchi con il suo mulo (1957)

procaccia con mulo
Silvana Turchi con il suo mulo (1957)

Figura 7 Torrigiani in attesa del pranzo durante i lavori ai vivai (Anni Cinquanta)

Figura 8 Il paese di Torri

Figura 9 La chiesa di Santa Maria Assunta

Torri in una cartolina dei primi anni del Novecento

Figura 10 Le cave di pietra

Le cave di pietra

Figura 11 Architrave scolpito con figure simboliche

Architrave scolpito con figure simboliche

Figura 12 Date di fondazione e di restauro                     

Date di fondazione e di restauro

Figura 13 Disco solare

Disco solare

Figura 14 Ruota a otto raggi                  

Ruota a otto raggi

                                                            
Figura 15 Seno scolpito

Seno scolpito

Figura 16 Teste apotropaiche                                                          

Teste apotropaiche Teste apotropaiche Teste
Teste apotropaiche

Figura 17 Testa apotropaica che mostra la lingua

Testa apotropaica che mostra la lingua

Figura 18 Strumenti dei maestri muratori                                     

Strumenti dei maestri muratori

Figura 19 Mano scolpita

Mano scolpita