di Alberto Pucci
In un atto notarile fra i più antichi della Badia a Taona è scritto che un certo Giovanni del fu Bonatto, abitator in castro de Turri, donò al monastero di San Salvatore di Fontana Taona ogni suo possesso, costituito da terriis, vineis, casis, casinis seo ecclesia, silvis et salectis infra castro de Turri et in eius finibus seo in pertinentia de ipso castro[1]. N. Rauty, interpretando questo documento, aveva ipotizzato che la chiesa fosse da riferirsi non a quella di Torri, ma a quella di Monticelli[2]. Come si vede, però, nell’atto di donazione è espresso chiaramente che l’ecclesia in questione era situata o nel castello di Torri o entro i suoi confini, per cui dalla lettura del documento sembrerebbe che questa appartenga più alla comunità di Torri che a quella di Monticelli. E’ probabile, infatti, che anche la chiesa di Torri sia stata fondata come “chiesa privata”, secondo un modello istituzionale germanico che fu introdotto dai Longobardi in Italia[3], per cui le stesse supposizioni fatte per Monticelli possono valere pure per Torri. Questo spiegherebbe altresì il fatto che la prima indicazione di una chiesa parrocchiale a Torri, dedicata a San Biagio, risalga soltanto alla prima metà del XIII secolo[4]. In seguito, a San Biagio fu affiancato il nome di Santa Maria.[5] Già dalla fine del Duecento, tuttavia, s’iniziano ad avere documenti in cui compare la sola dedica a Santa Maria, titolo che rimarrà infine esclusivo[6].
Queste precisazioni sulla chiesa di Torri sono necessarie per una maggiore chiarezza, poiché, essendo le due comunità molto vicine, potrebbero essere confuse tra loro.
Ciò successe, per esempio, al curato di Fossato don Marco Pelagio Mattei, che trascrisse le sue supposizioni su questi luoghi in un manoscritto compilato tra il 1810 e il 1856[7]. Per la comunità di Monticelli il sacerdote ipotizzò addirittura due chiese, una dedicata a San Biagio, indicata come chiesa principale, e un oratorio dedicato a San Martino[8]. Si tratta, invece, come abbiamo detto, di due chiese poste in località diverse.
Un’altra precisazione va fatta a proposito del presbitero Johanne de Montiselli[9], che è stato interpretato come parroco di questa comunità[10]. In realtà questo sacerdote compare anche in altri due documenti in cui è invece attribuito alla chiesa di Torri: prebitero Iohanne rectore ecclesie de Turri[11]. Si può dedurre, perciò, che il sacerdote Giovanni fosse il parroco di Santa Maria, anche se, per spiegare il suo riferimento a Monticelli, si potrebbe supporre che fosse originario di questa località, oppure, più probabilmente, che officiasse in ambedue i luoghi di culto, soprattutto se consideriamo la loro vicinanza e la probabile scarsità del numero dei sacerdoti e delle risorse.
La chiesa di Monticelli è menzionata per la prima volta nel 1086 ed è ricordata ancora nel 1244 e nel 1250[12]. Nonostante che in quest’ultimo documento sia riportato il titolo erroneo di San Marco, l’oratorio era indubbiamente dedicato a San Martino[13], come espresso chiaramente nelle decime e negli estimi della diocesi di Bologna[14]. Sempre da questi documenti, inoltre, si può dedurre che la chiesa di Monticelli, come quelle di Torri, Treppio e Fossato, faceva parte della pieve bolognese dei Santi Pietro e Giovanni Battista di Succida (oggi Capanne).
Dalle relazioni delle visite pastorali, studiate da R. Zagnoni[15], si può desumere il progressivo declino della chiesa di Monticelli, soprattutto nel corso del XV secolo. Com’è noto, nel 1474, la richiesta di unione delle chiese di Torri, Fossato e Monticelli alla chiesa di Treppio, a causa della loro povertà e della mancanza di sacerdoti, fu accolta dal vescovo di Bologna[16].
Nel XVI secolo la chiesa era già in rovina e divenne proprietà privata dei conti Bardi di Vernio, i quali affittarono a livello quello che restava dei suoi possedimenti[17]. Alla fine del XVI secolo la chiesa non esisteva già più nella sua forma originaria e, al suo posto, era stata eretta una semplice maestà[18]. Nel 1610, infatti, il visitatore non visitò l’ormai distrutto oratorio[19].
Dopo l’epidemia di peste del 1630, tuttavia, durante la visita pastorale del 12 luglio 1633, il visitatore constatò che la chiesa era stata restaurata nel 1632 per opera di Pellegrino Matteoni, che conduceva in enfiteusi quei beni che quasi certamente erano ancora quelli della chiesa di Monticelli[20].
E’ lecito, a questo punto, porsi una domanda: l’attuale oratorio di San Martino fu edificato nel medesimo posto in cui sorgeva l’antica chiesa di Monticelli oppure, come afferma Zagnoni, poiché nella località Monticelli non sorgeva più alcuna abitazione, fu ricostruito nella zona della Torraccia?
A una prima impressione, il significato della parola restaurata presupporrebbe la ricostruzione di un edificio già esistente sia pure del tutto in rovina.
Inoltre, la sacralità di un luogo di culto è comunemente rispettata dalle generazioni successive. Basti pensare a tutte le chiese che sono state riedificate sulle fondamenta di quelle più antiche. Le chiese di Torri e Treppio, per esempio, sul finire del XVIII secolo, furono interamente ristrutturate, al punto che non si è conservato nulla degli edifici più antichi, se non qualche lastra dedicatoria e qualche oggetto di devozione. Tuttavia esse sono state ricostruite sopra i resti di quelle precedenti.
Un’altra considerazione da fare è quella che Pellegrino Matteoni aveva in concessione il diritto su un fondo che era di proprietà della chiesa e quindi quello non doveva essere molto lontano da essa. Monticelli, infatti, come abbiamo detto, non sorgeva su un territorio diverso dalla Torraccia, ma comprendeva anche questa località.
Già queste riflessioni ci inducono a pensare che la chiesa di S. Martino fosse sempre stata in quel luogo.
L’oratorio, comunque, ha una tipologia seicentesca[21]. La data incisa nel rosone indica proprio il 1632, l’anno della ristrutturazione eseguita da Pellegrino Matteoni[22]. Probabilmente, se in questa data l’edificio aveva avuto bisogno di un restauro, doveva quindi essere stato costruito in precedenza, come ha giustamente affermato M. Bruschi[23]. Il problema è “quanto” tempo prima?
Secondo M. P. Mattei la chiesa sarebbe stata ristrutturata utilizzando quello che si poteva salvare della costruzione medievale[24]. Non ci sentiamo però di condividere quest’affermazione sulla sola base della conformazione di alcuni antichi blocchi di pietra ancora visibili nell’Ottocento nel paramento murario. E’ noto che il riutilizzo delle bozze squadrate o delle semplici pietre è una costante dei paesi della montagna e certo la comunità di Monticelli non doveva aver fatto eccezione, se ce ne fosse stato il bisogno. Quello che ci deve far riflettere, invece, è che l’oratorio di San Martino sarebbe sempre stato in quel luogo, così come avrebbe conservato il nome del santo titolare nonostante il passare dei secoli.
Purtroppo, la mancanza di uno scavo sistematico non ha permesso di far luce se esistono ancora delle fondamenta preesistenti. Quello che è certo, tuttavia, è che l’alzato si distingue per la semplicità della forma e la severità delle linee, tipica di un gusto più dell’età della Controriforma che dello stile barocco. Anzi, il tetto a capanna riporta alla tradizione romanica, così come il rosone circolare posto lungo l’asse mediano della facciata. E’ un edificio semplice ed essenziale, costruito con materiale locale e, per questo, ben inserito nell’ambiente naturale e conforme alle abitazioni circostanti.
Per tutte queste considerazioni, dunque, non è sicuro che l’ecclesia di Monticelli fosse stata edificata ex novo alla Torraccia, ossia in un luogo diverso da quello in cui la comunità aveva vissuto per secoli[25]. E’ più probabile, invece, per rispondere alla domanda che c’eravamo posti in precedenza, che l’attuale oratorio sorga tuttora nella stessa area di culto in cui è sempre esistita la chiesa.
Naturalmente, le vicende storiche sull’oratorio di San Martino non finiscono con il XVII secolo. Come riporta Zagnoni[26], nel 1699 l’arcivescovo cardinale Boncompagni ordinò a Benedetto Matteoni, discendente di Pellegrino, che ancora vantava un diritto su quei beni della chiesa a nome dell’arcivescovato bolognese, di ricostruire un’altra volta l’oratorio perché rovinato[27].
Gli ordini di ristrutturazione da parte dei visitatori riguardarono anche, per tutta la prima metà del XVIII secolo, il ripristino e la conservazione degli arredi sacri[28].
Con il passare del tempo, tuttavia, la chiesa stava diventando una struttura sempre più privata, tale da non richiedere l’intervento della curia. Quando il 27 agosto del 1784 fu sancito il passaggio delle chiese di Torri, Treppio, Fossato, Sambuca, Pavana, Frassignoni e San Pellegrino al Cassero alla diocesi di Pistoia, la chiesa di Monticelli non fu nemmeno citata e così avvenne con il decreto del 9 luglio 1785, quello che sottopose le parrocchie di Torri, di Fossato e di Pian del Toro alla pieve di Treppio [29].
Soltanto una ventina d’anni dopo il vescovo di Pistoia e Prato Francesco Toli, giunto a Torri il 4 agosto 1806, volle visitare anche l’oratorio di San Martino[30]. Nella relazione si legge che tale edificio è di padronato del Popolo situato però in alcuni beni allivellati dalla mensa arcivescovile di Bologna. Il relatore indicò anche l’estensione (è lungo braccia 12 largo braccia 8) e la tipologia (è a tetto e con pavimento lastricato di pietre). Importante è poi la notazione che vi è l’obbligo di una messa cantata a carico dei conduttori del livello il giorno di S. Martino titolare di questo oratorio, il quale è sufficientemente ben tenuto in fabbrica e provvisto di sacri arredi.
Si può dedurre, quindi, che l’edificio era in buono stato e che il terreno in cui si trovava era stato dato a livello a una famiglia del luogo, verosimilmente i Matteoni. Il contratto di enfiteusi prevede, com’è noto, la concessione del possesso su un fondo per un tempo lunghissimo (se non addirittura in perpetuo) in cambio di un pagamento annuo detto, appunto, livello. E’ probabile, perciò, che la famiglia Matteoni avesse già a quel tempo diritto allo sfruttamento dell’area in cui sorgeva l’oratorio e questo dominio si è poi consolidato nel tempo e tale è rimasto fino a oggi.
Questo documento del 1806, tuttavia, non scioglie del tutto l’ambiguità sostanziale che l’oratorio fosse da ritenersi ancora un bene della chiesa oppure fosse già da considerarsi come una proprietà privata. Il fatto che si dichiari che il popolo ne fosse il padrone lascia però supporre che, nonostante la chiesa fosse ancora consacrata, non svolgeva le funzioni di chiesa parrocchiale, ma era un edificio di culto in cui era possibile dire la messa durante ricorrenze speciali, come quella del santo titolare, per esempio. Anzi, la messa cantata nel giorno di San Martino era diventata un obbligo imprescindibile. Del resto, per le ordinarie festività liturgiche, per i battesimi, le comunioni, le commemorazioni dei defunti e altro c’era sempre la chiesa di Santa Maria Assunta a Torri.
In quest’ottica di chiesa privata si inserì perfettamente la visita del vescovo Enrico Bindi alle chiese di Treppio, Fossato e Torri il 27 agosto 1868. Nella relazione fu scritto: Questo oratorio detto della Torraccia è sulla strada tra Fossato e Torri, al passaggio di monsignore vescovo fu trovato chiuso, senza che si potesse trovare la chiave per visitarlo[31]. Il vescovo incaricò quindi l’arciprete Colti e padre Matteo Gualandi di farne la visita e di rimettere rapporto.[32]
Il fatto che l’oratorio fu trovato chiuso e che non si poté avere la chiave per aprirlo indica probabilmente che la famiglia incaricata della cura dell’edificio non aveva adempiuto del tutto al proprio dovere e, poiché non voleva che questo fosse riconosciuto, si era resa irreperibile. Resta il fatto grave, però, che un privato poteva permettersi di non aprire la porta di una chiesa durante una visita pastorale, la quale sicuramente era stata annunciata da qualche tempo. Questo ci suggerisce che l’edificio non doveva ormai fare più parte dei beni della chiesa, nonostante che lo stesso vescovo pensasse il contrario.
Ormai divenuto sempre più una cappella privata, l’oratorio non fu più visitato dai vescovi pistoiesi nel corso degli anni seguenti, nonostante fossero giunti a Torri. Lo attestano le visite pastorali del 4 agosto 1879[33], del 14 settembre 1896[34] e del 1 settembre 1903[35] nelle quali l’oratorio non è nemmeno rammentato.
Nello stesso tempo, la privatizzazione portò a un progressivo decadimento della struttura.
L’ultima menzione dell’edificio si ha in una relazione scritta dall’economo spirituale di Torri, don Ruben Michelacci, redatta per rispondere ai quesiti che gli furono posti in occasione di un’altra visita pastorale, quella del vescovo Andrea Sarti[36].
Il sacerdote di Torri affermò che in parrocchia vi è una sola chiesa e un oratorio sotto il protettore S. Martino, dove si celebra solamente nel giorno della festa. Dall’Archivio Parrocchiale non risulta alcun documento dal quale apparisca che né la chiesa né l’oratorio sia arricchito di privilegi, di indulti, di indulgenze. Tanto la chiesa quanto l’oratorio sono in cattive condizioni ed hanno bisogno di restauri[37].
L’oratorio della Torraccia aveva dunque bisogno di una profonda ristrutturazione e il vescovo Sarti non ritenne opportuno visitarlo[38], così come da quel momento in poi faranno tutti i vescovi pistoiesi del Novecento.
La struttura dell’oratorio rimase nel degrado per lunghi anni, fino al definitivo restauro del 1997[39].
Riguardo a ciò, alcune persone che lavorarono al rifacimento, e che poterono costatare direttamente che le fondamenta della chiesa proseguivano per diversi metri oltre la posizione attuale dei muri, in tempi recenti hanno affermato che allora fu deciso di ridurre le dimensioni dell’edificio per ragioni di opportunità [40]. Se questo fosse vero, si potrebbe ipotizzare che l’oratorio, essendo stato in origine più grande, poteva essere stato ricostruito sopra l’antica chiesa di Monticelli e che quindi questa doveva essere situata in quel luogo. Tutto ciò, ovviamente, sarebbe da verificare con uno scavo sistematico condotto con criteri scientifici.
Si può dunque affermare che, mentre nel Medioevo la chiesa era concepita come un bene dell’intera comunità, nel XVII secolo l’oratorio era divenuto ormai un patrimonio privato, dipendente da una famiglia che provvedeva al suo mantenimento e ne permetteva l’uso secondo la propria volontà, al punto di tenere chiusa la porta e di non dare la chiave al vescovo durante una visita pastorale. Se nell’età medievale i nomi a noi noti degli architetti-costruttori degli edifici religiosi sono pochi, proprio perché la chiesa era considerata l’espressione e l’orgoglio di tutta la comunità, dal Seicento si cercò piuttosto di tramandare il proprio nome e quello della casata per acquisire o per dimostrare un maggiore prestigio in ambito sociale. Ciò è dimostrato dalla data e dal nome di chi si occupò del restauro e che volle inciderli nel rosone della facciata. L’uso personale di un ambiente di culto, tuttavia, poteva rivelarsi conveniente se si provvedeva, in caso di necessità, al consolidamento della struttura, ma poteva anche rivelarsi controproducente, se le fortune o l’interesse dei singoli venivano meno. Con il passare degli anni, infatti, l’oratorio apparve spesso trascurato e malridotto, al punto che l’ultima visita pastorale si ebbe agli inizi del Novecento.
Ancora oggi la chiesetta è aperta saltuariamente, solo in occasione di eventi particolari.
La chiesa di San Martino
Particolare del rosone con l’iscrizione nel suo aspetto originario
NOTE ALLE FIGURE
Le foto sono state scattate il 28 dicembre 2015 dall’autore stesso. L’immagine del rosone è stata capovolta con l’ausilio del computer per riportarla al suo aspetto originario.
ABBREVIAZIONI ARCHIVISTICHE E BIBLIOGRAFICHE
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AVP = Archivio Vescovile di Pistoia
BSP = Bullettino Storico Pistoiese
RCP = Regesta Chartarum Pistoriensium
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A. Pucci, La chiesa di San Martino a Monticelli, “Nuèter”, XLII, n.83, Porretta Terme, Gruppo di studi alta valle del Reno, giugno 2016, pp.80-87.
[1] Taona, secoli XI e XII, 35 (1068 luglio).
[2] Rauty, Il castello di Torri, p.9.
[3] Ibidem.
[4] Liber censuum, 98-103 (ottobre-novembre 1220); Forcole, 128 (1224 aprile 28); ibidem, 240 (1241 marzo 14). Vedi anche Pucci, La chiesa di Torri, p.60.
[5] Sella, La diocesi di Bologna, p.142; Fanti, La decima del 1315, p.135; Casini, L’elenco nonantoliano del 1366, p.126; Idem, Il campione vescovile del 1378, p.387; Idem, L’estimo ecclesiastico del 1392, p.93; Novelli, Manoscritto 2005, p.153.
[6] Taona, secolo XIII, 572 (1290), Appendice II (1396 marzo 25).
[7] M. P. Mattei, Memorie e studi di cose patrie per la storia di Fossato, Torri, Treppio ed altri luoghi, manoscritto, dal 1810 al 1856, cit. da Battistini, Lentula, p.99, n.94. Secondo questa studiosa “tale manoscritto è il proseguo di quello di P. Anton Felice Mattei”.
[8] M. P. Mattei, cit. da Battistini, Lentula, p.102: fu distrutto il castello e detta chiesa (S. Biagio a Monticelli) da contagio circa l’anno 1400; e allora fu quando la Mensa vescovile di Bologna s’impadronì de’ beni della chiesa di Monticelli. E, più avanti, ibidem, p.103: Oratorio di S. Martino alla Torraccia. A somiglianza di altri popoli ebbe anche questonostro, oltre alla chiesa principale un oratorio dedicato a S. Martino.
[9] Forcole, 282 (1250 novembre 27).
[10] Zagnoni, Note storiche, p.136.
[11] Taona, secolo XIII, 392 (1251 ottobre 9), 431 (1262 luglio 22).
[12] Taona, secoli XI e XII, 39 (1086 febbraio 16); Forcole, 253 (1244 aprile 18), 282 (1250 novembre 27). Si veda anche Zagnoni, Note storiche, p.136.
[13] Per Bruschi, fra l’altro, la dedica a San Martino costituiva un chiaro indice di origine longobarda per la località di Monticelli. Vi era, infatti, una precisa relazione con le chiese di Spannarecchio e di Chiappore, anch’esse aventi lo stesso titolo (Bruschi, Appunti per S. Martino, p.64).
[14] Fanti, La decima del 1315, p.135 (da notare che, per questa decima, la chiesa di Torri pagò un soldo e quella di Monticelli due); Casini, L’elenco nonantoliano del 1366, p.126 (stavolta fu la chiesa di Monticelli a pagare di meno: due lire e otto soldi contro i tre delle chiese di Treppio, Fossato e Torri); Casini, Il campione vescovile del 1378, p.387; Casini, L’estimo ecclesiastico del 1392, p.93 (con errore di trascrizione Montecuculi invece di Monticelli).
[15] Zagnoni, Note storiche.
[16] A. B., Intorno a Treppio, pp.145-146, doc.D; Zagnoni, Le parrocchie prima del Concilio di Trento, pp.41-51; Pucci, La chiesa di Torri, pp.62-63.
[17] Zagnoni, Note storiche, pp.137.
[18] Ibidem, p.138.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem, pp.138-139.
[21] La montagna pistoiese, a v. Torraccia. Ex Oratorio di S. Rocco (sic!).
[22] Si tratta, infatti, non delle lettere e dei numeri trascritti da M. P. Mattei (v. infra alla nota 24) e ripresi in seguito da P. Gioffredi (Gioffredi, L’attuale situazione dell’oratorio, p.142), ma di una data precisa e delle iniziali di una persona. Per leggere correttamente l’iscrizione va capovolta l’immagine, riportando così il rosone al suo aspetto originario. Partendo dal lato sinistro in basso si può ora leggere una sequenza di numeri e di lettere seguiti da una freccetta di forma triangolare: il numero 1, una M (Matteoni), un 6,una F (Fece) con la parte inferiore mancante, un 3, una G (Giovanni? Giuseppe? Oppure potrebbe essere una P “aperta” posta in senso contrario e riferirsi allo stesso Pellegrino?), un 2, una S (Scolpire? Scrivere?). Per l’interpretazione vedi anche Pucci, La casa e le tradizioni, pp. che si riferiscono a Gli elementi decorativi dell’architettura e fig.68.
[23] Bruschi, L’antico Monticelli, p.49.
[24] M. P. Mattei cit. da Battistini, Lentula, p.103: E’ probabile che esistesse già in antico, poiché una porzione del muro esterno dal lato di tramontana vedesi formata di bozze e sassi quadri. Pare infatti costruita intorno al 1000. Ai lati ha due piccole finestre ovali tramezzate da un paletto perpendicolare di ferro. Sopra la porta in alto, una finestra di figura circolare sulla cui pietra d’un pezzo solo sta scolpito: SI. M. 6. 7. 5. 2.
[25] Zagnoni, Note storiche, p.136; Bruschi, L’antico Monticelli, p.49.
[26] Zagnoni, Note storiche, p.139.
[27] E’ forse utile precisare che, ancora oggi, il terreno su cui sorge la chiesa appartiene alla famiglia Matteoni. I Matteoni, insieme all’Associazione per lo sviluppo turistico di Torri, al Comune di Sambuca Pistoiese e ad altri enti pubblici, hanno collaborato ai lavori dell’ultimo restauro nel 1997. In proposito v. Gioffredi, Restaurato l’oratorio di San Martino. Per la situazione precedente al restauro v. Idem, L’attuale situazione dell’oratorio.
[28] Zagnoni, Note storiche, p.139.
[29] Zagnoni, Il passaggio; Pucci, La chiesa di Torri.
[30] Pistoia, Visite pastorali, I.B. 22, fasc. XVI, 4 agosto 1806.
[31] Ibidem, I.B. 24 bis fasc. I, 27 agosto 1868.
[32] Ibidem.
[33] Ibidem, I.B. 24 bis, 4 agosto 1879.
[34] Ibidem, I.B. 24 bis fasc. IX, 14 settembre 1896.
[35] Ibidem, I.B. 24 bis, 1 settembre 1903.
[36] Ibidem, I.B. 25 fasc. XIV, 2 agosto 1912.
[37] Ibidem.
[38] Ibidem, I.B. 26,1, 2 agosto 1912.
[39] Gioffredi, Restaurato l’oratorio di San Martino.
[40] Si tratta dei fratelli Bruno e Valerio Matteoni.